Massimo Giovannini 
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Il mio omaggio al kitsch attraverso gli oggetti di “negabile necessità”
Questo progetto fotografico, ancora in corso, è nato qualche anno fa come parte integrante della mia esperienza quotidiana e professionale. Il mio lavoro, fatto di immagini realizzate per la pubblicità, mi ha spesso portato a occuparmi non solo dell’aspetto creativo, ma anche della ricerca dei cosiddetti props, gli oggetti di scena.
Questa attività mi ha portato a frequentare negozi, mercatini, bancarelle dell’usato, alla ricerca degli oggetti richiesti per gli shooting. Ma, spinto dal mio amore per tutto ciò che è kitsch, gli acquisti non si limitavano mai al necessario. Finivo spesso per portare a casa molti altri oggetti, scelti più per istinto che per reale utilità, che "avrebbero potuto" servire... un giorno.
Il criterio di selezione? Tutto ciò che, in modo più o meno esplicito, riusciva a stuzzicare la mia curiosità.
Col tempo mi sono ritrovato con una collezione incredibilmente eterogenea, che ha iniziato a ispirarmi anche dal punto di vista fotografico.
Mi sono chiesto: perché questo impulso continuo ci spinge a riempire le nostre case di oggetti che, il più delle volte, non servono a nulla?
Siamo forse come gazze attratte da ciò che luccica, incapaci di resistere al desiderio di possedere?
Un tempo questo comportamento aveva un che di rituale: penso alle credenze delle nonne, piene di oggetti esposti con orgoglio, accumulati in viaggio o ricevuti come cadeau da amici e parenti. Oggetti che non venivano mai cestinati, per rispetto verso chi li aveva donati.
Oggi invece, ogni giorno possiamo facilmente accrescere la nostra personale collezione con oggetti dall’apparenza esotica, di manifattura quasi sempre asiatica, facilmente reperibili in qualsiasi media città, e con un costo accessibile: dall’equivalente di un caffè a quello di una pizza elaborata, bibita e coperto inclusi.
Nonostante siano nuovi, questi oggetti hanno spesso una vita breve. Il confine tra esposizione e oblio è sottilissimo: finiscono in scatoloni in cantina, vengono sostituiti, buttati nei cassonetti degli ingombranti o – se sono fortunati – riciclati nei mercatini delle pulci o online.
Da queste riflessioni nasce il mio progetto: perché lasciarli svanire nell’oblio, quando possiamo riportarli in vita?
Perché non elevarli artisticamente, decontestualizzandoli, e farli rientrare trionfalmente nelle case dalla porta principale? Donare loro un’immortalità estetica, aumentarne simbolicamente il valore, come in un infinito loopconsumistico che ci definisce?
Perché, citando un aforisma di Oscar Wilde, Nulla è più necessario del superfluo.

My homage to kitsch through objects of "negotiable necessity"
This ongoing photographic project started a few years ago as an integral part of my daily and professional experience. My work, which consists of images created for advertising, often led me to deal not only with the creative aspect but also with the search for so-called props.
This activity took me to shops, flea markets, second-hand stalls, in search of objects needed for the shoots. But, driven by my love for everything kitsch, my purchases never stopped at the strictly necessary. I often ended up bringing home many more items, chosen more out of instinct than real usefulness, that "might" be useful... someday.
The selection criterion? Anything that, more or less explicitly, managed to pique my curiosity.
Over time, I found myself with an incredibly heterogeneous collection that began to inspire me even from a photographic point of view.
I asked myself: why does this constant impulse push us to fill our homes with objects that, most of the time, serve no purpose? Are we perhaps like magpies, attracted to what shines, unable to resist the desire to possess?
Once, this behavior had something ritualistic about it: I think of my grandmother's display cabinets, full of objects proudly displayed, accumulated during travels or received as gifts from friends and family. Objects that were never thrown away, out of respect for the giver.
Today, however, every day we can easily increase our personal collection with objects of an almost always Asian-made, exotic appearance, readily available in any medium-sized city, and at an affordable price: from the equivalent of a coffee to the cost of a fancy pizza, drink and cover included.
Despite being new, these objects often have a short life. The line between display and oblivion is razor-thin: they end up in boxes in the basement, replaced, thrown away in bulky trash bins, or—if they're lucky—recycled at flea markets or online.
From these reflections, my project was born: why let them fade into oblivion when we can bring them back to life? Why not elevate them artistically, decontextualizing them, and bring them triumphantly back into homes through the front door? To give them aesthetic immortality, symbolically increasing their value, like an infinite consumer loop that defines us?
Because, quoting an aphorism by Oscar Wilde: Nothing is more necessary than the superfluous.